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31 Maggio 2018 By marco

Protezione catodica in acqua di mare

pubblicato su: http://www.energiamedia.it/protezione-catodica-apce/

Siamo nel lontano 1824 quando la marina militare inglese, al fine di prevenire la corrosione degli scafi delle proprie navi, decide di sperimentare una scoperta del chimico Sir Humphry Davy applicando alle piastre di rame dello scafo della HMS Samarang degli anodi in ferro. L’esperimento riesce ma i risultati sono oltre le aspettative; il rame non si corrode più, ma in questo modo non rilascia più quelle sostanze che impediscono la formazione di vegetazione sullo scafo. Con lo scafo coperto di cozze e telline la nave perde troppa velocità; l’esperimento viene quindi momentaneamente abbandonato, ma intanto è nata la protezione catodica.

Da allora molte cose sono cambiate. Ai giorni nostri la protezione catodica è utilizzata in varie forme su tutte le imbarcazioni in metallo del mondo oltre che per ogni struttura metallica sommersa che debba essere protetta dalla corrosione.

L’acqua di mare è infatti un ambiente estremamente corrosivo; è un elettrolita molto efficiente a causa della grande quantità di sali disciolti in essa, l’alta concentrazione di cloruri favorisce l’innescarsi di fenomeni di vaiolatura e la costante presenza di ossigeno, nelle acque a contatto con l’atmosfera e soprattutto nelle zone di onda o di marea, fornisce un costante apporto del reagente catodico influenzando direttamente la velocità di corrosione. La protezione catodica trova numerosissimi campi di applicazione in ambiente marino per contrastare il fenomeno corrosivo. Viene impiegata nel settore navale per imbarcazioni di ogni genere e dimensioni dagli yacht con scafo in alluminio alle navi militari fino alle grandi navi da crociera e mercantili. Viene usata per la protezione delle parti sommerse delle piattaforme petrolifere, a protezione delle parti metalliche sommerse delle strutture portuali e per tutti i gasdotti e gli oleodotti sottomarini.

Come per i terreni la protezione catodica in acqua di mare trova applicazioni sia attraverso sistemi ad anodi sacrificali che a corrente impressa. L’alta reattività dell’ambiente impone però alcune scelte particolari che differenziano sostanzialmente le tipologie di materiali usati.

Parlando di anodi sacrificali i materiali più comuni sono leghe particolari a base di alluminio o di zinco. Al materiale base vengono aggiunte in fase di fusione piccole percentuali di altri componenti come l’Indio, che ne modificano il comportamento superficiale evitando fenomeni di passivazione ed aumentando l’efficienza elettrochimica della lega. A differenza dalle applicazioni nel terreno, a causa della sua eccessiva reattività, il magnesio non trova grandi applicazioni come materiale anodico se non in casi particolari. A seconda del diverso utilizzo, gli anodi vengono fusi in varie forme attorno ad un inserto portante in acciaio che verrà poi collegato alla struttura da proteggere tramite saldatura (o meno comunemente imbullonato) al fine di garantire al contempo il collegamento elettrico e la stabilità meccanica. Le forme variano molto a seconda delle esigenze operative e di installazione, gli anodi da nave sono lingotti affusolati sagomati in modo da minimizzare l’interferenza con l’idrodinamica dello scafo, per le tubazioni sottomarine vengono usati anodi a bracciale montati attorno al tubo, mentre per le opere fisse di grandi dimensioni come piattaforme e strutture portuali si utilizzano usualmente lingotti di grandi dimensioni.

Anche i sistemi a corrente impressa per applicazioni marine presentano sostanziali differenze con quelli di terra. In primo luogo le correnti in gioco sono decisamente maggiori; a causa dell’elevata ossigenazione e della bassa resistività elettrica infatti, le densità di corrente di protezione necessarie alla polarizzazione catodica delle strutture sono dell’ordine delle centinaia di mA/m2 fino ad arrivare ad 1 A/m2 per le zone ad alta turbolenza come gli scafi delle navi in prossimità delle eliche senza contare un sensibile aumento della corrente richiesta per strutture che operino al di sopra dei 25°C. Di conseguenza gli impianti vengono progettati per l’erogazione di quantità di corrente estremamente elevate se confrontati con gli impianti di terra. A fronte di correnti così elevate anche gli anodi utilizzati come dispersori di corrente hanno delle caratteristiche particolari: vengono utilizzati quasi esclusivamente anodi inerti in titanio attivato con ossidi metallici misti (Ti/MMO) anche se in passato sono stati usati anche anodi in piombo /argento (Pb/Ag) o in titanio platinato (Ti/Pt). Le forme degli anodi sono le più svariate e vanno dalle catene di anodi tensionate per la protezione delle piattaforme off-shore fino agli anodi superficiali montati a scafo per le carene delle navi.

Un ruolo fondamentale nella protezione catodica in acqua di mare viene giocato da quello che viene definito “deposito calcareo”; si tratta di una patina costituita da carbonato di calcio, idrossido di magnesio ed altri sali formati in conseguenza delle reazioni che avvengono sulle superfici polarizzate dalla protezione catodica a causa dell’aumento del pH della zona adiacente alla superficie. L’effetto di questo strato protettivo è quello di formare una barriera fisica contro l’ambiente corrosivo comportando di fatto una progressiva diminuzione della quantità di corrente necessaria alla polarizzazione. Il mantenimento ed il costante rinnovo del deposito calcareo sono fattori fondamentali, in zone ad alta turbolenza dove lo sviluppo di tale deposito non è possibile le densità di corrente di protezione richieste assumono valori anche superiori a 1 A/m2. Proprio la presenza del deposito calcareo permette di valutare già in fase di progetto diversi livelli di densità di corrente a seconda della vita della struttura, sarà necessario stimare una corrente di prima polarizzazione necessaria alla formazione del deposito calcareo e una corrente di mantenimento che mantenga la polarizzazione e rinnovi costantemente il deposito calcareo per il resto della vita della struttura. Non è inoltre da dimenticare il ruolo svolto dalle protezioni passive, pitture, vernici e rivestimenti plastici, nella valutazione delle correnti di protezione.

Un’altra peculiarità delle applicazioni in mare della protezione catodica è data dall’estrema variabilità dei tempi di vita delle strutture protette. Nello specifico navi e imbarcazioni in genere sono soggette alle regolamentazioni dei registri navali che impongono manutenzioni allo scafo in bacino di carenaggio con frequenze regolari che variano a seconda della categoria della nave con una frequenza minima di una ogni 5 anni definendo di conseguenza il dimensionamento del sistema di protezione catodica. Piattaforme petrolifere ed condotte sottomarine possono avere invece una vita stimata di progetto che va dai 20 ai 50 anni, mentre alcune opere portuali hanno una progettazione che può arrivare ad una vita utile di 100 anni.

Le sostanziali differenze di applicazione e di utilizzo della protezione catodica tra mare e terra ha portato all’emissione di normative internazionali specifiche per i diversi ambienti. La normativa base di riferimento in Europa per le tubazioni oil & gas in acqua di mare sono la ISO 15589-2:2004 “Petroleum and natural gas industries — Cathodic protection of pipeline transportation systems” e la DNV-RP-F103 “CATHODIC PROTECTION OF SUBMARINE PIPELINES BY GALVANIC ANODES” mentre in generale per le strutture immerse è riconosciuta la DNV-RP-B401 “CATHODIC PROTECTION DESIGN”.

Al fine di diffondere la cultura e la formazione nel campo della protezione catodica, APCE organizza ogni anno dei corsi specifici di 40 ore per la certificazione (EN15257) degli operatori di impianti di protezione catodica con specializzazione acqua di mare.

 

 

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